lunedì 23 dicembre 2013

Caro Babbo Natale...

Un altro anno sta giungendo al termine e, come al solito, è tempo di guardarsi alle spalle per vedere quanto si è fatto, quanto non si è fatto e cosa si sarebbe potuto fare con un briciolo di impegno in più. 
Sicuramente il 2013 è stato bello per due ragioni fondamentali: la prima è quella di aver trovato una persona da amare profondamente, con la quale scambio la mia vita senza tanti "ma" e "però", un rapporto maturo sul quale sto piantando fondamenta solide (queste me le immagino di legno rosso scuro con venature profonde a cerchi sempre più dislungati); in seconda battuta sono contento di aver portato a termine la prima parte di un percorso di studi che porterò a compimento nel 2014, ovvero il doppio diploma franco-italiano che ha visto il qui presente prendersi una bel master in storia dell'arte all'università francese di Grenoble, superando difficoltà "infide e bastarde" come direbbe il famoso trio comico, paure e complessi forse normali per chi va a vivere da solo per la prima volta, per lo più in un paese di cui non conoscevo nemmeno la lingua (che per la cronaca considero molto più semplice dell'inglese). L'esperienza di Grenoble mi ha fatto capire quanto siano profonde le radici che ho diramato per la mia città, Fermo, un luogo che non avevo mai perduto di vista per più di un mese e che ho riscoperto dopo un anno di assenza, nel bene e nel male, amando i suoi portici, le sue viuzze nascoste dai nomi altisonanti, i suoi spazi nel quale non vorrei mai vivere una vita intera perché limiterebbe le mie ambizioni, ma dove vorrei tornare ogni tanto per delle lunghe passeggiate.
Aggiungerei anche una postilla per il 2013 in fatto di cose belle: la mia musica, che nessuno conosce ovviamente ma che, per i pochi "fortunati" che hanno avuto il piacere di ascoltarla, sembra riscuotere un discreto successo, segno che la semplicità è sempre il mezzo più indicato per trasmettere emozioni.
Passando alle cose non portate a termine quest'anno c'è sicuramente lo studio dell'inglese che ancora mi porto dietro quando dovrei parlarlo quanto l'italiano; i problemi alimentari che continuo ad affrontare ad ondate di fiducia seguite poi da cadute imbarazzanti su soffici letti di cioccolato, gelati e quanto più di buono e poco salutare esiste su questa terra; lo studio della musica che non approfondisco mai nonostante ogni tanto continui a comprarmi bellissimi quadernoni dalla copertina rigida sul quale appuntare i miei studi e le mie riflessioni su armonie, serie di accordi e intervalli; i libri che quest'anno ho letto poco e male a causa di una forma d'ansia che mi spinge a leggerli velocemente e/o distrattamente, come se stesse scadendo il tempo per farlo; la tranquillità familiare, arrendendomi al fatto che non l'avrò mai finché resterò qui.
Ora è giunto il momento di scrivere la letterina a Babbo Natale per i buoni propositi dell'anno che verrà:

Caro Babbo Natale,
so che lavori solo a Natale ma non chiedendoti giocattoli o pupazzi (a proposito, che fine hanno fatto quei bellissimi Batman che avevo da bambino? ora vedo solo macchinine e gormiti dio bono!) penso che potrai almeno sentire quello che ho da chiederti. Per il 2014 vorrei portare a termine alcuni obiettivi che mi trascino da tempo immemore, te li elenco: imparare l'inglese definitivamente (magari con una bella esperienza in terra anglosassone...); fare una vita più sana e consona alle norme alimentari; laurearmi e cominciare subito una bella esperienza lavorativa, possibilmente in terra francese, belga o canadese; incidere il mio personalissimo disco musicale; leggere i libri più attentamente, anche pochi ma in maniera produttiva; studiare il latino (mi serve, non c'è niente da fare).
Per ultimo vivere un ambiente familiare privo di tensioni e acidità... non ridere sai!

BUONE FESTE CARISSIMI!


giovedì 7 novembre 2013

La morte e i sogni

La morte. TATATATAAAAAAAAAAAAA. Si, proprio lei. 
Devo dire che in questo periodo penso spesso alla morte, quasi morbosamente. Non per gusto personale ovviamente ma per una serie di situazioni che spaziano continuamente nei miei pensieri: in primis mia nonna che poche settimane fa ha raggiunto la veneranda età di 88 anni e che sta completando il suo ciclo vitale non come avrebbe e come avremmo voluto noi tutti, causa una sorta di alzheimer che ne sta minando le capacità mentali giorno dopo giorno. A questo proposito mi torna in mente un sogno fatto due-tre anni fa: mi trovo proprio a casa di mia nonna e vedo passare davanti a me nonno Giancarlo, morto nel 1994, che si dirige verso la finestra della camera per poi scomparire; subito dopo mi passa davanti anche nonna la quale si dirige verso il marito. Non so perché ma nel sogno ho come avuto l'impressione che stesse andando a morire, succede no? di "essere salutati" nei sogni dai propri cari. Allora io la rincorro, la fermo e le dico:
"aspetta nonna non andare! stai qui un altro po' "
"non posso, lo sai" 
"dai, almeno altri 10 anni!"
e lei sorridendomi nel sogno mi disse: "va bene, altri 8..." e mi svegliai.
Stando ai fantasiosi calcoli di un nipote spaventato da quella che potrebbe essere la prima vera scomparsa drammatica della sua vita mia nonna dovrebbe morire a 92 anni.
Sarà anche che si è figli delle proprie madri, infatti anche mia madre era molto attaccata alla sua di nonna e spesso mi racconta quanto sia stato beffardo il fato con lei: mia mamma era solita andare dalla mia bisnonna molto spesso, quasi ogni giorno, per onorare un rapporto che si era consolidato sin da quando mia madre e mio zio Antonio erano piccoli. Ebbene il giorno prima che la mia bisnonna morisse, credo fosse il 1973 o '74, mi madre non poté andare a trovarla per un motivo che nemmeno ricorda; quella notte la mia bisnonna si sentì male e morì. Al capezzale era presente la mia prozia Piera la quale prontamente disse: "Chiamo il medico!", gli fu risposto dalla morente "non farà in tempo, sto morendo".
Presa dal rimorso per non aver potuto dire addio alla propria nonna, e forse la psicologia ha giocato un ruolo chiave in quello che sto per raccontare, mia madre la sognò qualche tempo dopo: si trovava nel vicolo che si snoda lungo i lati di casa di mia nonna e li, mentre vi camminava, ha incontrato la mia bisnonna iniziandoci a parlare, come tante volte era successo nella sua vita; mamma mi dice sempre che nel sogno non si è resa conto che si stava intrattenendo con un defunto, poi - quando la razionalità è subentrata nell'inconscio - ad un tratto ha esclamato: "nonna, ma tu sei morta", lei gli ha sorriso; mia madre si svegliò senza rimorso, quasi come se quell'addio fosse finalmente stato consumato.
Io credo in queste cose,  forse si presentano nella mia testa come una sorta di speranza, o forse sono semplicemente i riflessi di un bisogno psicologico legati ai desideri di non lasciare i propri cari e le loro vite che tanto hanno contribuito a creare la propria. Dovrò abituarmi a tutto questo.


domenica 29 settembre 2013

XXI secolo, Italia.

Partiamo dal fatto che si sta difendendo l'indifendibile
Appurato questo non c'è molto da dire, poiché se, come si spera, si è dotati almeno di un 1% di intelletto e di senso civile, nonché morale, tutta questa storia risulterebbe soltanto l'ennesima trama di una fiction di terza categoria (a meno che ovviamente non ci metta lo zampino quel geniaccio di Hitchcock).
La cosa affascinante in tutto questo si trova nella famosa asserzione fin troppo bistrattata e violentata da chi, nella maggior parte dei casi, parla per dar fiato alla bocca, ovvero: La storia si ripete; in questo senso non posso far a meno di pensare alle crociate medievali. Tutti abbiamo studiato a scuola l'importanza storica e i pesanti rivoligimenti che tale avvenimenti portarono all'Europa, e tutti sappiamo che dietro alle preghiere di papi e vescovi si nascondevano spade affilate e armature in cui venivano incise grandi croci al fine di far espandere i territori della Chiesa, cercando di fatto di eliminare i pericolosissimi Mori o Catari che fossero. Ma si sta parlando di almeno otto secoli fa e non si può negare che Dio avesse una forte influenza sull'operato umano.
XXI secolo, Italia: la situazione economica non è delle migliori, la maggior parte della popolazione (salvo poveri operai costretti alla cassa integrazione) si lamenta per la mancanza di denaro e di lavoro, magari rispondendo a telefonate con cellulari da 700 euro perché vale sempre la regola del povero ma bello; alle ultime elezioni è emerso un "movimento" nato dalle battute di un comico, "movimento" che ha fatto della negazione assoluta il suo grido di battaglia senza aver mai proposto una, e dico una, soluzione fattibile ai problemi, del tipo: Vengo anch'io, NO TU NO! ma perché? perché NO!. Il Vaffa day esprime alla grande il loro senso politico, a tratti "mussoliniano", a tratti "Che Guevarista". Meglio la cara vecchia Anarchia a questo punto ma proseguiamo... poco più della metà degli italiani ha votato per il secondo partito d'Italia, quello che pur di rimanere a galla, ben piantanto sulle poltrone in pelle, ha scelto di scendere a patti con il primo partito d'Italia, ad esempio togliendo questa famosa IMU. Ed è qui che l'italiano medio manifesta tutta la sua intelligenza che può essere riassunta nel principio matematico del "pago meno? voto per loro!"; ma, aimé, l'italiano medio non comprende che non pagherà MAI di meno, ma sempre di più! con l'unica differenza che l'IMU (per la cronaca Imposta Mucipilale Unica, non si sa mai con questi intelligentoni...) viene pagata da chi i soldi li ha (poiché chi può permettersi più di una casa non se la passa poi tanto male) mentre l'IVA (Imposta sul Valore Aggiunto, altrimenti detta tassa sul consumo di beni e servizi) viene pagata da tutti, ricchi e poveri, Sarà perché ti amoooo...
E poi cosa succede? ieri sera leggo su Repubblica una cosa agghiacciante: si apre l'ennesima crisi di governo per difendere l'indifendibile, una guerra aperta allo Stato e alla Costituzione (sulla quale i ministri, capi dello Stato e Presidenti della Repubblica di ogni razza o credo religioso giurano prima di cominciare a lavorare per il paese) per far valere dei principi di giustizia I N E S I S T E N T I, campati in un'aria fritta e rifritta. Si parla di amnistia per un uomo che ha rubato e che è stato condannato a tre gradi di giudizio, un uomo che ha tenuto e che continua a tenere l'Italia in pugno da vent'anni e che si permette di ricattare e di mettere in serio pericolo il paese intero pur di non scontare la pena. La cosa brutta in tutto questo è l'irrazionalità di chi lo difende, un'apologia basata su una vera e propria fede che annebbia il presunto cervello di questi individui che ricordano tanto i cavalieri crociati... poi uno dice "parliamone civilmente", bene, fate conto di avere di fronte a voi uno di questi individui e di posargli davanti un libro, inizia la discussione:

- Ciao, questo è un libro
- No, è una forchetta

Fine.

ps: mi manca tanto Sandro Pertini.

lunedì 19 agosto 2013

Questione di centimetri

Il tempo è galantuomo. Una frase ricorrente, quasi di moda, che in sostanza non ho mai capito a fondo, probabilmente a causa dell'irrazionalità presente all'interno del significato stesso del concetto: un essere malvagio non verrà necessariamente "punito" dal passare del tempo per le sue malefatte, come un essere buono non è detto che viva una vita straordinaria, piena di felicità e di soddisfazioni. Anzi...
Eppure il tempo è galantuomo. Ma in un altro senso, e oggi me ne sono reso conto: mi trovavo nel laboratorio di mio zio "tutto-fare" per modificare alcune cose sulla mia chitarra acustica; appena entrato ho visto una credenza da cucina, rossa e bianca, coperta di polvere e legno scartavetrato. Non mi ha detto nulla inizialmente e sono passati alcuni minuti prima che io realizzassi il fatto che quel mobile da cucina, tutto sgangherato e sporco, aveva fatto parte della mia vita moltissimo tempo prima. Si trattava della credenza di casa mia vecchia in cui mia madre, saggiamente, nascondeva le uova di pasqua o gli ovetti kinder per evitare che il proprio pargolo ingordo sin da piccolo (ovvero il qui presente) li mangiasse tutti in una volta. Li metteva nell'anta destra chiusa con una chiave che ancora è li. 
Il tempo è stato galantuomo con me, e lo è stato per una questione di centimetri; io quella credenza me la ricordavo gigantesca, irraggiungibile nei suoi piani più alti, pesante nelle sue "vetrate" che sfumavano i piatti e i bicchieri al suo interno, un vero e proprio mostro di vernice rossa. Oggi quello stesso mobile era piccolo, facilmente accessibile: potevo girare la chiave facilmente e i vetri di fronte, oramai ingialliti, mi son sembrati così sottili...
Il tempo è stato galantuomo perché oggi mi ha fatto rivivere un pezzo della mia infanzia, all'improvviso, come una sorpresa inattesa, come se avesse voluto farmi un regalo, sussurandomi ad un orecchio che il piccolo pargolo in cerca di cioccolata era diventato il gigante in cerca di ricordi.

giovedì 18 luglio 2013

La Notte





Siccome la notte

gioca brutti scherzi

la lascio stare.


Eppur mi prende la voglia

di seguirla, fermarla,

o vederla passare.


Perché la notte

porta consiglio a chi

dorme come Fitzgerarld:

sul fianco, per soffocare la pena.


Non importa

se sceglie il silenzio,

se trascina dietro segreti

sparsi tra i lumi accesi

incavati sulle sue spalle, larghe;


a me basta sapere

che lei vegli i nostri pensieri,

da covare come tesori

sotterrati in spiagge balenanti

di scie d’aurora scintillanti,

dove i padri affidavano

ai propri  figli i ripensamenti,

arenati in scrigni saldati

da mille lucchetti e infiniti compromessi.


La notte è la culla dei pentimenti,

che sottraggono ai sentimenti

la voglia di cambiare.


Così resta il suono dei rancori,

sempre pronti a scagliarsi

contro le vecchie illusioni,

striate dalle labirintiche rughe

del passar delle stagioni.


Adesso sono le montagne

a circondare la mia notte:

si affaccia dal suo vasto impero,

rievocandomi un balcone nero

dove vedevo alte le navi

aprirmi alla vita

e al suo mistero.


Non so quando arriverà

il momento in cui la notte

ricambierà il favore,

lanciandomi dall'alto

un segno del suo umore.


Io aspetterò quieto:

lo farò da un umile terrazza,

da una sgangherata sedia,

al di là di una carezza
poggiata sul viso di una chitarra. 



martedì 9 luglio 2013

In principio era... una lista di libri.

Uno dei momenti di svolta della mia adolescenza è stato senza dubbio il giorno in cui la mia professoressa di italiano, alla quale devo moltissimo dal punto di vista umano, portò in classe una lista. Si trattava di un foglio A4 in cui vi erano elencati una trentina di libri suddivisi per autore.
Non ricordo le esatte parole di quella mattinata, ma il discorso della professoressa (il cui accento marchigiano inciampava contro i denti limati all'italiano più esatto) più o meno fu il seguente: "Ragazzi miei, questo breve elenco non deve essere visto semplicemente come un compito da portare per la settimana prossima, INESORABILMENTE per la settimana prossima... bensì deve rappresentare un inizio. Quando ero ragazza non avevo la possibilità di comprare libri, la mia era una famiglia di contadini, poco avvezza alla lettura; così, forte della mia curiosità, me ne andavo nella piccola biblioteca del paese a leggere tutto quello che trovavo. In questo foglio di carta ho inserito alcuni titoli base, gli imperdibili li si potrebbe chiamare, quelli da leggere per forza,  fatene buon uso."
Quello che all'epoca mi sembrò il solito discorso da fare a studenti dediti al piacere del rumore e alla simulazione di mosse di lotta libera direttamente ispirate al wrestling (adoravo l'Ankle Lock di Kurt Angel), dopo qualche tempo si rivelò profezia, il piacere della lettura "seria" nacque in me grazie a quella lista. Fino a quel momento  non avevo letto molti libri, nulla di particolarmente significativo per lo meno (tolto Capitan Mutanda si intende); la mia cultura si basava su fumetti grandiosi, unici, impareggiabili: dalla Paperdinastia a Watchmen, da V for Vendetta a Slam Dunk, passando per Dragon Ball, One Piece e tutti gli altri.
Dal primo titolo iniziò una vera e propria rincorsa agli anni "perduti", vai allora con I dolori del giovane Werther, Moby Dick, Siddharta, Madame Bovary, Victor Hugo, Dumas, Kerouac, e via ancora ancora e ancora... la fortuna di avere una vasta libreria a casa di mia nonna mi ha permesso di scoprire il piacere delle vecchie edizioni, magari firmate da mio nonno Giancarlo prima, durante e dopo la seconda guerra mondiale; me lo immagino ancora adesso tra i mercati di Ferrara a "spulciare" quelli che sarebbero stati i suoi compagni di una vita insieme alle inseparabili sigarette. 
Tornando alla mia prof. devo dire che le devo molto, lei così piccola e così forte, portava ogni giorno due borse pesantissime piene di compiti corretti e materiale didattico, la piegavano in avanti letteralmente; lei così professionale nel lavoro nel quale metteva passione e vero e proprio amore, la si vedeva realmente preoccupata per gli studenti e altrettanto orgogliosa; lei che mi chiamò qualche giorno dopo la fine dell'esame di quinta superiore per chiedermi come era andata e cosa avrei fatto all'università.
Lei che mi iniziò al piacere della lettura semplicemente con una lista.

sabato 29 giugno 2013

Le camere vuote

Quando ripenso alla mia infanzia spesso rivedo le camere vuote. Si tratta di stanze dove in un modo o nell'altro sono cresciuto, stanze che per motivi legati a brevi vacanze o a trasferimenti familiari, ho dovuto spogliare delle mie cose. 
Tra le prime che mi vengono in mente c'è sicuramente la stanza "dei due lettini": si tratta di una piccola camera a casa di mia nonna, caratterizzata per l'appunto da due piccoli letti in cui dormivano mio zio e mia madre da bambini; quella piccola camera è stata per me una vera e propria culla estiva dove giocavo con mio fratello e i miei cugini prima di andare al mare o nei pomeriggi temporaleschi; dove guardavo a volume bassissimo la piccola televisione sony dato che avevo paura del buio "antico" della casa di mia nonna; dove aspettavo con ansia la mattina per sentire zio Paolo salire le scale e chiamarmi per andare tutta la giornata al mare, caro zio Paolo... Poi a settembre me ne tornavo a casa mia e mia madre cominciava a svuotare i cassetti, i ripiani, gli armadi, ricominciava il ciclo insomma, scuola, casa, partite di calcio con gli amici, e così via.
Poi c'è la camera di casa vecchia, la penultima casa in cui ho abitato dal 1994 al 2005. Ricordo il giorno del trasferimento, erano tutti indaffarati tra scatole e pacchi vari, ero momentaneamente solo in casa; entrai per un'ultima volta nella mia stanza: il pavimento si era trasformato in una distesa immensa senza il tappeto, la scrivania e l'armadio; mentre scorrevo con gli occhi le pareti vuote vi rileggevo tutto il tempo speso li dentro, le chiacchiere con i miei fratelli e i miei amici, i giochi, i momenti di tristezza, di gioia, quella sensazione fantastica di ansia pre-gita scolastica in cui mi ripetevo continuamente "manca poco, passa in fretta notte!", la sveglia puntualissima di mia madre per andare a scuola, le nottate passate a disegnare e a leggere fumetti. Mi è ancora molto cara quella camera.
A proposito di gite un'altra camera è quella dell'albergo a Budapest, in terza superiore, e a Monaco in quinta. La prima era grandissima, con tanto di divano, ricordo che scardinammo una porta per fare uno scherzo ad un nostro amico, della serie "coglioni si, ma con stile". La seconda mi è ancora più cara perché fu l'ultima stanza dove ho dormito con i miei compagni, tutti insieme, durante l'ultima memorabile gita delle superiori; fu una sensazione strana quella che mi accompagnò mentre facevamo le valigie, come se lo stomaco mi stesse mettendo in guardia: "goditi questi ultimi istanti e imprimili bene nella mente, saranno un ottimo rifugio"; così facemmo una foto, quattro amici e un letto, pochi secondi prima dello scatto uno dei quattro invece di dire il solito "CHEEESEE" disse "ultimaaaaaa" segnando di fatto la fine della mia infanzia.
Adesso le stanze vuote sono quelle di Grenoble, sto preparando le valigie, dopo 10 mesi torno in Italia. Ieri c'è stata l'ultima festa e fa strano vedere le stanze dei tuoi amici conosciuti qui in Francia in procinto di svuotarsi dopo che in tutto questo tempo, letteralmente volato, hai imparato a conoscerli e a conviverci anche all'interno di quelle stesse stanze. Mi piace pensare che si svuotino soltanto materialmente e che in qualche modo possa rimanere al loro interno sempre una piccola parte di noi che ci siamo "passati" e che stiamo crescendo troppo velocemente, troppo.

mercoledì 19 giugno 2013

La calma, la tempesta e altre storie.

19 giugno 2013,

La calma.
 
Ho portato a termine i miei doveri da studente, la tesi è conclusa, resta solo la discussione prevista per il 2 luglio à quatorze heure. La sensazione è quella di aver fatto un buon lavoro, completo, originale e "scientifico", la laurea triennale non è nulla in confronto alle 136 pagine di quest'anno (mai scritto tanto in vita mia in una sola volta).
Lo sforzo mentale è stato devastante, sono molto stanco indubbiamente, eppure quest'esperienza mi ha permesso di capire quali siano i limiti che posso sopportare: l'ansia si è accomodata sul trono del mio stomaco e non intende schiodarsi da li, neanche adesso che "il più" è fatto, poiché ci sono sempre pensieri che intrattengono la suddetta, come l'idea di aver sbagliato l'impaginazione, un errore bibliografico, una nota scritta secondo linee guida clamorosamente inventate di sana pianta, su cui l'unica giustificazione sarebbe quella di appellarsi ai propri diritti intellettuali vaneggiando della superba artisticità di cui quelle stesse note sono la più grande testimonianza. 
Poi penso che tutto è concluso, errori o meno non si può tornare indietro, tanto vale godersi due giorni di meritato riposo prima di cominciare a scrivere il discorso per la discussione, "pace fratelli".

La tempesta.

Altrimenti nota come "Il ritorno a casa". In realtà non sono così depresso all'idea di riabbracciare le Marche; il vivere fuori porta con sé tanti vantaggi, tra cui quello di capire il valore reale delle proprie radici, ad esempio mi è capitato di incontrare qualche marchigiano qui in terra francese: sentire i suoni gutturali del proprio dialetto (o storpiatura dell'italiano che dir si voglia), alcune "locuzioni" così familiari, usuali, che sempre hanno accompagnato la propria crescita, beh... è stato bello, perché effettivamente ci si rende conto di far parte di una regione bellissima a cui non si vuole rinunciare, una regione che si è creata una propria cultura fatta di tradizioni contadine, vino, castagne, feste popolari, il tutto ambientato in centri storici medievali e/o romani che si affacciano tra mare, monti e colline. Poi è chiaro, non ci vivrei mai per tutta la vita, le differenze sono troppo evidenti, io punto Parigi. Tornare ma non restare.
E allora questa tempesta? Ebbene, è la consapevolezza di tornare in un ambiente familiare che non mi si addice, che mi stressa, mi logora, mi infastidisce, mi rende cinico; voglio la mia indipendenza, e la voglio circodare delle persone che più apprezzo della mia famiglia e della cerchia dei miei amici, escludendone altre che hanno perso il loro treno tempo fa, e vi assicuro che sui binari è passato ad intervalli regolari per molto tempo. 

Altre storie.

La prossima volta.


venerdì 7 giugno 2013

If it doesn't come bursting out of you in spite of everything, don't do it...

...e pensare che a me Bukowski non piace, troppe mutande sporche per i miei gusti; eppure qualcosa mi ha colpito in So you want to be a writer? Non che voglia fare lo scrittore, non è nelle mie capacità purtroppo: poca fantasia, mani pesanti, pensieri troppo comuni da non permettere lo slancio. E poi lo farei per i soldi e per la fama, quindi, come dice il caro ubriacone Charles, "don't do it".
Farlo solo per me stesso già sarebbe diverso, anche se questo blog ne mina l'intento e la credibilità; un buon esercizio sicuramente (due righe insieme bisogna saperle mettere nella vita) e una valvola di sfogo, per non dire un semplice passatempo. Alla fine lo scrivere e il leggere hanno sempre sostenuto una buona parte della mia infanzia, a stento magari, legando a qualche presunta rima poetica una data situazione che, con la testa di adesso, non risulta essere poi così sconvolgente, ovviamente; non si può essere Rostand tutta la vita, ahimé. 
Ed ecco il punto: alla fine si vuole somigliare a qualcuno, a tutti i costi. Io, ad esempio, volevo essere Modigliani mentre recitava Dante alla comunità di Montmartre; Cyrano in punto di morte, con tanto di pennacchio offerto alle stelle (scusa Charles, a me le stelle piacciono); Jack Kerouac invocante il nome di Dean Moriarty dopo aver girovagato per tutta l'America; Atticus Finch nella sua infinita umanità, moralità e tolleranza; Robert Plant, Jimmy Page, John Paul Jones e John Bonham per entrare nell'Olimpo; una frase di Leopardi, di Montale o di Pavese, per ricordarmi che vengo da un luogo circondato da campagna, mare e montagna. Tuttavia non credo di essere ancora pronto per aggiungere il mio nome a quella lista.
Visto? è uscito tutto pazientemente, come un ruggito. Che ne dici caro vecchio Bukowski?