Siccome la notte
gioca brutti scherzi
la lascio stare.
Eppur mi prende la voglia
di seguirla, fermarla,
o vederla passare.
Perché la notte
porta consiglio a chi
dorme come Fitzgerarld:
sul fianco, per soffocare
la pena.
Non importa
se sceglie il silenzio,
se trascina dietro segreti
sparsi tra i lumi accesi
incavati sulle sue spalle,
larghe;
a me basta sapere
che lei vegli i nostri
pensieri,
da covare come tesori
sotterrati in spiagge
balenanti
di scie d’aurora
scintillanti,
dove i padri affidavano
ai propri figli i
ripensamenti,
arenati in scrigni saldati
da mille lucchetti e
infiniti compromessi.
La notte è la culla dei
pentimenti,
che sottraggono ai
sentimenti
la voglia di cambiare.
Così resta il suono dei
rancori,
sempre pronti a scagliarsi
contro le vecchie illusioni,
striate dalle
labirintiche rughe
del passar delle stagioni.
Adesso sono le montagne
a circondare la mia notte:
si affaccia dal suo vasto
impero,
rievocandomi un balcone
nero
dove vedevo alte le navi
aprirmi alla vita
e al suo mistero.
Non so quando arriverà
il momento in cui la
notte
ricambierà il favore,
lanciandomi dall'alto
un segno del suo umore.
Io aspetterò quieto:
lo farò da un umile
terrazza,
da una sgangherata sedia,
al di là di una carezza
poggiata sul viso di una chitarra.
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