Oggi,
14 giugno 2020, Francesco Guccini compie ottant'anni.
Mi
sembra quanto meno doveroso dedicare un pensiero a un uomo che,
involontariamente, ha segnato la vita di tanti, con le sue parole, i
suoi romanzi (stupendi) e la sua saggezza montanara, eredità di una
vita che non esiste più.
Uso
l'avverbio "involontariamente" a ragion veduta poiché,
come ha spiegato tante volte lo stesso Guccini, di fare le
"canzonette" a lui non interessava poi tanto; mettere su
carta i suoi pensieri, la sua vita umida di osterie, bestemmie e
giochi di carte, era solo un passatempo nato durante la leva
militare. Al Guccio piace scrivere e basta, così che la memoria
resti ben impressa da qualche parte; non è un caso che gran parte
della sua poetica è dedita a masticare una non troppo velata
nostalgia, malinconica amica che lo accompagna sin dai primi anni
modenesi, quando al soffocante grigiore dei palazzi di città,
rimpiange i boschi dell'amata Pàvana e i giochi al fiume, il
Limentra: "un sogno lungo il suono continuo ed ossessivo che
fa il Limentra" (Amerigo, 1978).
Ed
è proprio la memoria la sua grande eredità, perché Francesco ci ha
fatto dono di una visione della società italiana oggettiva, seppur
filtrata attraverso un soggettivismo puro, semplice, naturale e
esistenzialista.
Non basta raccontare i giochi d'infanzia, la vita non è solo un
"lento scorrere senza uno scopo" da inseguire lungo
le sassaiole del fiume, ci sono i libri! E poi Bologna che ti
accoglie a qualunque ora del giorno e della notte tra le sue cosce; i
fumetti di Bonvi, Pazienza, Magnus, Liberatore , Tamburini; gli amori non
capiti, qualche rimpianto, perché "a vent'anni si è
stupidi davvero, quante balle si ha in testa a quell'età"
(Eskimo, 1978).
Tutto
questo vissuto è parte integrante della nostra esistenza, in maniera
diversa ovviamente, non possiamo aver vissuto la stessa vita! Eppure
un filo che collega il tutto c'è, le sensazioni sono quelle, non si
scappa, il Guccio le rende visibili attraverso le parole che sono di
tutti e alle esperienze che, vuoi o non vuoi, abbiamo vissuto,
come l'apatia di un amore al tramonto lungo le rive di un mare
smorto:
Scoprimmo
che oggi il mare lascia un povero relitto,
Naufragi
di catrame e di lattine arrugginite:
Parlare era soltanto un altro inutile delitto contro le nostre vite (Inutile, 1983)
Parlare era soltanto un altro inutile delitto contro le nostre vite (Inutile, 1983)
Le
riflessioni sugli amici di sempre:
Mio
vecchio amico di giorni e pensieri da quanto tempo che ci
conosciamo,
Venticinque anni son tanti e diciamo un po' retorici che sembra ieri.
Invece io so che è diverso e tu sai quello che il tempo ci ha preso e ci ha dato:
Io appena giovane sono invecchiato, tu forse giovane non sei stato mai. (Canzone per Piero, 1974)
Venticinque anni son tanti e diciamo un po' retorici che sembra ieri.
Invece io so che è diverso e tu sai quello che il tempo ci ha preso e ci ha dato:
Io appena giovane sono invecchiato, tu forse giovane non sei stato mai. (Canzone per Piero, 1974)
I
dubbi esistenziali:
E
un' altra volta è notte e suono
Non so nemmeno io per che motivo, forse perché son vivo
E voglio in questo modo dire "sono"
O forse perché è un modo pure questo per non andare a letto
O forse perché ancora c'è da bere
E mi riempio il bicchiere (Canzone di notte n. 2, 1976)
Non so nemmeno io per che motivo, forse perché son vivo
E voglio in questo modo dire "sono"
O forse perché è un modo pure questo per non andare a letto
O forse perché ancora c'è da bere
E mi riempio il bicchiere (Canzone di notte n. 2, 1976)
Il
capire i tuoi genitori quando oramai è troppo tardi:
Van
Loon viveva e io lo credevo morto
O peggio, inutile, solo per la distanza
Fra i suoi miti diversi e la mia giovinezza e superbia d'allora
La mia ignoranza (Van Loon, 1999)
O peggio, inutile, solo per la distanza
Fra i suoi miti diversi e la mia giovinezza e superbia d'allora
La mia ignoranza (Van Loon, 1999)
La
triste rassegnazione al lavoro quotidiano:
E
subito ti affanni in cose in cui non credi,
la testa piena di vacanze ed ozio
e non sono peggiori i mali dei rimedi,
la malattia è la noia del lavoro (Canzone della vita quotidiana, 1974)
la testa piena di vacanze ed ozio
e non sono peggiori i mali dei rimedi,
la malattia è la noia del lavoro (Canzone della vita quotidiana, 1974)
E
cosi potrei continuare, con altri mille riferimenti alla vita di
ognuno che il buon Francesco ha saputo mettere in rima, raccontando
con fare esistenzialista almeno due generazioni. Lo preferisco a
De André perché ho
sempre trovato Guccini più vicino a come siamo realmente, come
viviamo ogni giorno, senza grosse pretese.
Ho
avuto la fortuna di vederlo dal vivo due volte, la prima con mia
mamma, grandissima appassionata, la seconda con alcuni cari amici e
alla mia ragazza del tempo, a cui dedico ancora Quattro
stracci.
Sono bellissimi ricordi, se scrivo canzoni lo devo soprattuto a Guccini.
Sono bellissimi ricordi, se scrivo canzoni lo devo soprattuto a Guccini.
Buon
compleanno Francesco.